Qualcuno era Cirano, Vite di periferia
E’ sera, la televisione a tanti pollici è ben posizionata e i signori prendono il meritato gelato, quando quella stessa televisione inizia a trasmettere e trasmettere della vita di oggi, ma i signori continuano a prendere il loro meritato gelato, d’altronde è estate.
Sarà per questo che certe volte il senso di stanchezza affiora, ma forse è una stanchezza colorata e dettata dalla confusione che probabilmente è generata da quella “globalizzazione dell’indifferenza”, che inchioda la gente a disquisire sul gusto nocciola anziché su quelle immagini HD proiettate dallo schermo al plasma.
Tanto mi ha colpito l’Omelia del Monsignor Luigi Mansi, Vescovo di Andria, in occasione della strage ferroviaria in Puglia, “No, o Padre, non sono affatto normali quelle prassi di vita e di gestione dell'economia nelle quali non si pensa al valore della vita delle persone, ma a calcoli ottusi di convenienze e interessi. E tutto, senza scrupolo, generando innumerevoli piccole e grandi inadempienze nei confronti del proprio dovere, inteso nel senso alto e nobile del termine. Il proprio dovere, sì, verso i diritti delle persone, di tutti, senza diversità e distinzioni, a cominciare dai più deboli e fragili, a cominciare dalle periferie, come ama dire il nostro santo Padre, il Papa Francesco.
E noi temiamo, o Padre, che per tanti, per troppi anni, queste terre, le nostre terre, siano state considerate, e forse lo sono ancora, la periferia dell'Italia.”
Questo termine “periferia” collegato al concetto di vita mi ha scosso, perché mi ha trasmesso l’idea di come ognuno viva per sé, isolato nella propria periferia di vita, tale da renderlo un corpo estraneo dal resto della società tutta.
Il recente attentato a Nizza, il pseudo colpo di stato in Turchia (forse per legittimare democraticamente l’attuale premier), hanno, secondo il mio parere, una linea continua anche con la strage pugliese e con tante altre morti recenti, e cioè: l’idea che ognuno di noi debba pensare proprio e solo alla sua vita di periferia.
La società, ci richiede al più di essere bravi tecnici, di avere questo famoso e tanto rincorso know how, ma non pretende altro.
Per essere bravi cittadini oggi, dobbiamo forse essere, come ci ricorda Pirandello, una maschera, anziché un volto, nei confronti della vita dobbiamo essere brave maschere e coltivare la nostra periferia.
Enzo Bianchi, Priore del Monastero di Bose, in un suo saggio “Ogni cosa alla sua stagione” nel parlare del vino scrive “Certo, il vino richiede misura, esige responsabilità, e il gustarlo diventa un’arte quando si è capaci di giungere al punto di sobria ebbrezza in cui ci si libera della compostezza senza cedere a un movimento sfrenato. Un equilibrio difficile, che richiede un apprendistato nel bere il vino…”
Bene, forse l’assordante silenzio collettivo che trapela dalle nostre vite di periferia, ha come unico motivo di lotta all’indifferenza proprio quel bere, che però va oltre alla sobria ebbrezza, per gettarsi invece nello sballo, presente proprio nelle periferie.
Andrea Giombi
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Articoli-Pensieri
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