Qualcuno era Cirano; Obtorto collo e Fabriano, analisi politica su Fabriano
Parlano Spacca, Rossi, A.Moscè e Simonetti
Fabriano potrebbe avere un nuovo nome, si potrebbe chiamare la città del “SENZA”, senza lavoro (vertenza Indesit, JP, Tecnowind, Best, ecc...), senza la possibilità del diritto a nascerci, senza una vera tutela dell’ambiente (si pensi al Giano color latte ed all’inquinamento atmosferico), senza il diritto allo studio (si guardi in che condizione versa l’ormai ex Università) e con altri senza, ma con l’aggiunta dell’indifferenza.
Nell’articolo riflessione scorso ho provato a declinare le parole del Papa, lanciate alla società nella sua Missiva Apostolica “Amoris Laetitia”, proprio sulla situazione della Fabriano del SENZA.
Ho provato, pertanto, forse alla stregua di un scapigliato, di affermare come l’oggi può rimanere degno solo se protetti dalla alcova sentimentale, la quale però non può portare a fregarsi della gente come te, della tua città, della tua società, sporca della mancanza di ogni diritto, dalla salute al lavoro.
In seguito a queste parole sono intervenuti in un dibattito on line l’ex Presidente della Regione Marche: Gian Mario Spacca, il consigliere comunale di SEL: Emanuele Rossi e due intellettuali cittadini: Alessandro Moscè e Gian Pietro Simonetti.
Gian Mario Spacca E’ la vita ci insegna che in natura non vince mai il più forte, ma il più intelligente e flessibile: chi è capace di adattarsi al cambiamento. Fabriano è stata un grande punto di forza, e in parte lo è ancora. Ha definito un modello di crescita che è stato oggetto di studio di università e centri di ricerca. Ha offerto una classe dirigente che è arrivata ai vertici di istituzioni importanti, come mai prima era accaduto. L'errore, a mio avviso, è stato pensare che questo potesse essere sempre per sempre. Pensare che non ci fosse bisogno di adattarsi al cambiamento e cercare nuove formule. Questo la storia non lo perdona. A nessuno. Quindi, non credo sia utile perdere tempo prevalentemente a valutare chi ha costruito o interpretato un modello ormai trascorso, ma cercare la connettività di nuovi protagonismi, di energie positive per la costruzione di una nuova formula di crescita.
Emanuele Rossi L'articolo mi sembra un buon spunto per un'analisi più approfondita su quello che significa vivere nelle continue disuguaglianze e nella subordinazione. Le parole del Papa sono in qualche modo potenti perché minano il sistema capitalistico alle fondamenta. Fabriano è l'esempio classico di un territorio in cui la crescita economica, incentrata in gran parte sulle sorti di un'unica famiglia, ha portato alla compressione degli spazi di socialità, di confronto, di diversificazione e di sviluppo alternativo. Oggi paghiamo non solo la crisi del monoprodotto industriale, paghiamo in primo luogo il nostro essere stati, per decenni, etero diretti.
Alessandro Moscè L'errore (direi la genuflessione) della politica locale è insita nella finzione: fingere, appunto, di non accorgersi che il modello stava crollando. Ma non poteva che essere così, perché quando il potere politico è connaturato ed espressione esso stesso del potere economico, l'occultamento della verità è un comando, per il dipendente dell'azienda. Quindi non parlerei neppure di mancanza di visione, ma di "finzione scenica".
Gian Pietro Simonetti Aggiungerei che il declino del distretto monoprodotto e della sua classe dirigente chiama in causa anche l'antropologia del fabrianese. In questo senso sono molto gramsciano: il nostro modello economico aveva bisogno anche di un modello antropologico coerente e funzionale. Il merlonismo è stato una costruzione non una casualità.
Non si può obtorto collo accettare tutto questo quotidiano, “la tua camicia blu, che poi in realtà era la mia, il tuo maglione mio, sì pure quello era dei miei”.
Ascoltami, Fabriano tra non molto annovererà un altro senza, senza i fabrianesi, si deve capire che è ora di smetterla di inchinarsi e accettare una mediocre classe di governo, per il semplice fatto che è un dovere riprendere le nostre camicie, i nostri maglioni, quindi le nostre identità, da coloro che ci hanno soltanto che giocato. Bisogna essere soggetti e non complemento oggetto.
Di obtorto collo non c’è nulla.
Andrea Giombi
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