Intervista all' On. Ricciatti su reato di clandestinità
Dal 23 settembre oggi Ungaretti direbbe : “Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie”, ma per molti questa condizione è presente anche d’ estate, infatti vivendo oggi il poeta potrebbe dire: “ Si sta come d’ estate sugli scafi le persone”. Poveri con speranza intrisa da paure. Papa Francesco con forza ha detto a Lampedusa: “No, alla globalizzazione dell’ indifferenza!”
Ho il grande piacere di sentire nel merito l’ On Lara Ricciatti di Sinistra Ecologia e Libertà eletta nel 2013 nella circoscrizione Marche all’ età di 27 anni. Di lei nella sua biografia leggo: “Credo nella Politica. Come valore, come impegno e come ideale. Come unico modo di trasformare tutto questo in azione, al servizio di tutti. Ho imparato dai libri che ho studiato e dai racconti dei miei nonni, che il nostro Paese ha saputo dare il meglio di sè nei momenti peggiori, unendo persone, generazioni e culture diverse. Questo è uno di quei momenti. Lo sappiamo. Ci guardiamo negli occhi e leggiamo la stessa voglia di fare qualcosa. Ma la politica è il solo luogo dove tutte le esperienze quotidiane per cambiare la realtà si incontrano e progettano una vita comune.”
1. Come mai secondo Lei l’ Italia ha approvato la legge che introduce il reato di immigrazione clandestina?
La clandestinità punita penalmente, dapprima con la legge Bossi-Fini e, successivamente, con la legge n. 94 del 2009, il cd. dal pacchetto sicurezza Maroni, allora Ministro dell’Interno, è stata la risposta sbagliata, e in un certo senso più comoda, ad un problema rilevante e complesso come quello dell’immigrazione. Si è inteso, con quelle norme, contrastare e dissuadere le persone ad emigrare dai loro paesi d’origine, spesso afflitti da condizioni di fame estrema o interessati da eventi bellici. Per quanto sia contrario ai principi generali della legislazione in materia penale, che deve tener conto anche del dibattito con le minoranze parlamentari, a mio parere quella scelta era dettata da questioni meramente politico-elettorali. L’iniziativa era stata infatti assunta da due partiti, Lega Nord e Alleanza Nazionale, connotati da un elettorato che esigeva una risposta rigida ed immediata ai problemi derivanti dall’immigrazione e, più propriamente, dalla mancata integrazione. Le norme, non potendo incidere alla base del fenomeno, vale a dire le ragioni per le quali quelle persone erano costrette ad emigrare, né sulla gestione del fenomeno migratorio, attraverso politiche di integrazione, si limitavano a scaricare gli effetti dell’intero fenomeno sui singoli soggetti interessati, spesso in condizioni di grave disagio umano ed evidentemente in condizioni di debolezza. Volendo tralasciare in questa sede osservazioni di natura umanitaria e di civiltà, che pure assumono un ruolo di massimo rilievo nella vicenda, quelle norme si sono dimostrate nel tempo semplicemente inefficaci rispetto agli obiettivi dichiarati, costituendo di fatto un aggravio di lavoro per le forze dell’ordine, distogliendo energie da compiti ben più rilevanti, con riflessi negativi anche per chi, pur immigrato, non aveva nulla a che fare con eventi o ambienti criminali, ma era semplicemente alla ricerca di una vita migliore, con un lavoro dignitoso e condizioni di vita umane.Molti di noi hanno memoria delle lunghe file d’avanti le Questure per il rinnovo dei permessi di soggiorno o delle difficoltà concrete nel procedere all’identificazione e l’espulsione di immigrati irregolari, per citare solo due degli esempi più evidenti.
2. Cosa pensa dell' attuale epilogo di questa legge?
Nella legge Bossi-Fini il reato di clandestinità valeva per tutti coloro che entravano in Italia senza regolare permesso di soggiorno e si rifiutassero di adempiere all’ obbligo di espulsione. Circostanza che da un punto di vista prettamente giuridico è in forte contrasto con un diritto penale che sanziona le azioni e non lo status. La circostanza per la quale, poi, il permesso di soggiorno veniva concesso solo a chi avesse un contratto di lavoro regolare, in un paese come il nostro che annovera tra i problemi più gravi una altissima diffusione del “lavoro nero”, oltre ad una crescente disoccupazione, equivaleva a negare, nella maggior parte dei casi, ab origine, la possibilità di una immigrazione regolare ai sensi di quelle stesse norme. Altra situazione drammatica, determinata dal precedente regime, era la “detenzione” nei CIE. Luoghi dove non vigevano le garanzie costituzionali minime riconosciute (o che dovrebbero essere riconosciute) a chi si trovi in stato di “detenzione” presso una struttura dello Stato italiano. E’ evidente che l’abolizione di quelle norme sia stata salutata, non solo da gran parte dei parlamentari che hanno preso parte attiva nella votazione, ma anche da grandissima parte della società civile e dell’opinione pubblica, come una piccola vittoria contro una ingiustizia conclamata. Questo non risolve evidentemente i problemi connessi al fenomeno migratorio, ma sana una situazione gravissima più volte richiamata e sanzionata dalle Istituzioni comunitarie, riportando il dibattito su binari più consoni come le politiche di accoglienza e di integrazione. Si è trattato, in definitiva, di un classico caso in cui una visione preconcetta e con forti connotazioni di carattere ideologico e a stampo xenofobo, ha condizionato la legislazione senza valutazioni in concreto degli interessi e dei “beni giuridici” in gioco.
Andrea Giombi
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Articoli-Pensieri
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